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Museo della Vita Contadina del Novecento

Museo della Vita Contadina del Novecento, fra bioedilizia e memoria del passato

di Stefania Elena Carnemolla

Un edificio arabeggiante con un grosso comignolo ottagonale a bulbo di cipolla: un gioiello lombardo, oggi restaurato, un tempo in preda all’incuria e nascosto da cespugli di rovi e piante spontanee: siamo in Lombardia, a Verderio Superiore, nella bassa provincia lecchese. Era il 1991 quando Angelo Verderio e sua moglie, Ornella Carravieri – che nel 1984 a Verderio Superiore avevano fondato la Coverd, azienda di tecnologie e materiali bioedili naturali, tra cui il sughero, per l’isolamento acustico e bioclimatico – videro quell’edificio abbandonato: fu un colpo di fulmine. Il rudere era l’Aia del conte Luigi Confalonieri Stratinan, progettata nel 1857 dall’architetto Gaetano Besia di Domodossola.

Con un edificio a un solo piano, il cortile era stato costruito con lastre di granito di Montorfano su muri in sasso e pilastri di mattoni. Nell’Ottocento il luogo divenne punto di raccolta ed essicazione delle messi e del commercio delle granaglie, con il cortile che faceva da magazzino ed essiccatoio all’aperto e l’edificio da sede degli uffici. L’Aia fu realizzata con soluzioni tecniche all’avanguardia per efficienza energetica e sostenibilità ambientale. Un bioclimate sensitive building ottocentesco affine alle attività dei coniugi Verderio.

Proprietari

Passato di proprietario in proprietario, nel 1991 il primo tentativo di acquisto da parte dei Verderio andò a vuoto. Nel frattempo, nel 1996, l’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali riconobbe l’Aia e Villa Confalonieri edifici di interesse storico-artistico.

Fu solo nel 2004 che i Verderio, che mai avevano rinunciato a quel loro sogno, riuscirono ad acquistare l’immobile per farne la sede della Coverd: “Le soluzioni ingegnose di bioedilizia e bioclimatizzazione squisitamente italiane create a metà dell’Ottocento dagli abitanti di Verderio Superiore incarnano la filosofia aziendale e possono diventarne la vetrina”, fu la spiegazione. Un luogo, con grandi potenzialità, da salvare. “Ogni imprenditore dovrebbe avere a cuore la tutela e la promozione del territorio in cui ha sede la propria azienda. Specie quando questa fa parte della storia della comunità e ne rivela le radici”, così, Angelo Verderio.

Tecnica

Tecnicamente fu progettata una “casa passiva”, un edificio, cioè, con un basso valore di dispersione termica, utilizzando materiali naturali e tecnologie Coverd, per ridurre al minimo l’impatto ambientale. “Quel che oggi noi chiamiamo Bioedilizia non è che l’immortale buon senso di un tempo, quando le case – grandi o piccole, lussuose o meno – venivano costruite dalle persone che dovevano abitarle”, così la Coverd. “Si sono aggiunti nuovi materiali, sono cambiate le tecnologie, ma il sole, il vento e la pioggia sono rimasti gli stessi.

Anche l’Aia in fondo è rimasta uguale: da essiccatoio naturale per le messi a sede di un’azienda che si occupa di tecnologie e materiali bioedili naturali. È cambiato il contesto, non la sostanza. Lo dimostra il fatto che nella costruzione della nuova ala e nel restauro della parte più antica – quest’ultima sotto l’occhio vigile della Soprintendenza del Ministero per i Beni Ambientali e Architettonici – si è lavorato con le regole degli antichi costruttori, aggiornate alle attuali metodiche”.

Apertura

L’Aia ha aperto le porte nel 2006. Nella parte antica ci sono gli uffici direzionali, mentre, in quella nuova, gli uffici tecnici e commerciali, nonché una sala convegni. Collega le due strutture un tunnel di vetro con passerella. Sotto il grande cortile di lastre di granito è stato, invece, ricavato un museo, il Museo della Vita Contadina del Novecento e dove, lungo i cunicoli disegnati dai pilastri e dai muretti di pietra, si possono ammirare le ricostruzioni di luoghi e ambientazioni della vita rurale del secolo scorso con attrezzi, utensili e fotografie originali delle cascine brianzole.

Gli attrezzi agricoli sono stati restaurati fra il 2004 e il 2006 da Mario Carravieri, padre di Ornella, cui il museo è stato dedicato pochi giorni dopo la sua scomparsa, nel 2007. Il museo può essere visitato anche da scolaresche e da chiunque voglia “approfondire la conoscenza antropologica del territorio”, costituendo, in questo senso, un “patrimonio culturale per la collettività”.

Museo

Nel Museo sono stati ricostruiti gli ambienti dove vivevano, in particolare, le donne, come la cucina e la lavanderia, e gli uomini, come la cantina-segheria per la creazione e riparazione di utensili e di tutto ciò che serviva in casa, il ricovero degli attrezzi per il lavoro nei campi e quelli per il governo degli animali, quindi il locale destinato alla raccolta, essiccazione e trasformazione dei cereali.

Fra le curiosità, una delle prime macchine da cucire, un piccolo mastello di legno, un rudimentale attrezzo per cardare la lana dei materassi, una vecchia bicicletta da uomo con portapacchi e paraspruzzi al parafango, uno specchio da comò, un vecchio ferro da stiro un tempo alimentato a brace, quindi, una piccola stadera, bilancia, per le esigenze domestiche.

Le prime due ambientazioni sono dedicate agli attrezzi agricoli legati alla vita contadina – vangatura, semina, raccolta e trasformazione dei cereali. Vi si trovano, ad esempio, attrezzi per la sgranatura del granoturco, un grosso erpice, una carriola di legno, una macchina per la semina e pale in legno.

Per sgranare le pannocchie i contadini usavano la gratiroeula, un attrezzo con grossi chiodi. Nell’ambientazione si trovano anche una balla di fieno su una carriola, erpici per rassodare la terra dopo la vangatura e l’aratura, ferri da cavallo, campanacci per animali, falci per la mietitura, seghetti e tenaglie per i lavori di casa.

Lavanderia

Nela lavanderia si trova, invece, il manichino di una massaia mentre lava i panni, che ai tempi venivano stesi al sole nel cortile. Nel locale, con immagini di santi e crocifissi alle pareti, si trovano anche un mastello per bucato, mensole con tazze, una vecchia sveglia, bottiglie, fotografie, un mortaio in legno e una scaldina per tenere i piedi caldi in inverno e dove si mettevano i “tizzoni ardenti” del camino o della stufa. L’unico luogo riscaldato della casa, altro locale ricreato nel Museo, era la cucina contadina, dove si trovavano un camino o una grossa stufa.

Nel primo sportellone della stufa, in inverno, i bambini scaldavano i piedi. Nella cucina contadina c’erano sedie impagliate o sgabelli. Nel locale cucina del Museo, appesi al muro, si trovano pentole di rame e mestoli, due mortai di legno per pestare l’aglio e le spezie, una pentola e alcuni ferri da stiro un tempo riscaldati sulla stufa, quindi alcune stie, questo perché la sera, per timore dei furti, le galline venivano portate in casa e lasciate in cucina.

Falegnameria

Nella falegnameria c’è, invece, il manichino di un contadino con i suoi attrezzi, mentre nei corridoi dei cunicoli è possibile ammirare altri oggetti come imbrigliature per asini e cavalli da traino, il carro per trasportare in campagna i liquami delle cisterne prima della vangatura o aratura – l’unico concime del tempo. E ancora, carrucole, lucchetti, ferri da fabbro, una gerla, un vecchio macinino del caffé, una bottiglia senza impagliatura che si usava per fare il burro e una piccola damigiana per l’acqua fresca che in estate si portava nei campi.

Storia

La storia dell’AIA di Verderio e del Museo della Vita Contadina del Novecento è stata raccontata da Giulio Oggioni nel libro La storia, il restauro conservativo, la nuova ala e il museo Vita Contadina del Novecento pubblicato da Coverd  in occasione del 150° anniversario dell’Aia e del 30° anno di fondazione dell’azienda. Riccamente illustrata con documenti e immagini, in particolare d’epoca, l’opera è un viaggio, fra alimentazione, agricoltura e sostenibilità, all’interno del mondo contadino del passato.

AIA: L’Antico e il Nuovo in BioEdilizia è, invece, la pubblicazione che la famiglia Verderio ha voluto dedicare alle nuove generazioni per “trasmettere e far meglio comprendere, utilizzando la storia della ricostruzione di un edificio, la natura di un popolo straordinario, attraverso un simbolo della operosa Brianza contadina di metà Ottocento: l’Aia di Verderio Superiore. Prima costruita, poi restaurata e ampliata, con identica passione”.

 


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