Verderio: Le pietre d’inciampo in ricordo dei Milla deportati, inaugurate dai discendenti
Ringrazio tutti e dedico questo ricordo alla mia famiglia e alle persone che non sono tornate”. Poche parole, sussurrate da Serena Milla, dopo aver scoperto, in via Prati angolo via Sernovella, le cinque pietre d’inciampo che, sul marciapiede di fronte al vecchio cancello, ricorderannno per sempre Ugo, suo padre, e gli zii Amelia, Laura, Lina e Ferruccio Milla. Ovvero la sua famiglia.
Moltissime, accanto al sindaco Alessandro Origo e all’assessore Giovanna Villa, le persone accorse ad ascoltarla. “Dopo una soffiata – ha ricordato Marco Bartesaghi, primo, venticinque anni fa, a raccogliere e pubblicare la storia dei Milla sugli “Archivi di Lecco” (rivista storica ndr) -il 13 ottobre 1943 i Milla, vennero arrestati, perché ebrei, all’AIA di Verderio.
A salvarsi furono solo Serena, che aveva 9 anni, e la madre Lea. Incarcerati prima a Bergamo, poi a San Vittore, il 6 dicembre Ugo, Ferruccio, Amelia, Laura e Lina Milla furono caricati sul primo carro bestiame in partenza, dal binario 21, della Stazione Centrale. Giunti l’11 dicembre ad Auschwitz, non passarono la selezione e furono subito assassinati nelle camere e gas.
Serena e la madre Lea trovarono rifugio alla clinica Carate, ora Zucchi, dove vennero protette dal professor Mangioni e da suor Luigia Gazzola. A proteggerle fu anche monsignor Ettore Castelli, assistente del cardinal Schuster (arcivescovo di Milano in quegli anni ndr) un altro medico e un ufficiale tedesco. Entrambi, probabilmente, sapevano degli ebrei nascosti nella clinica, ma non li denunciarono.
Per riconoscenza, l’ufficiale tedesco venne poi aiutato a rimpatriare”. “Con noi c’erano altri ebrei, che non conoscevo – ha confermato la signora Serena, precisando poi, come ricorderà anche Bartesaghi – che lo zio Ferruccio aveva un’infezione alla gamba, conseguenza dei pestaggi subiti dai soldati nazisti tedeschi”. Prima di scoprire le pietre, la signora Serena ha voluto raccontare i suoi ricordi.
“Noi eravamo stati accolti dai signori Passaquindici – ha spiegato – quella sera papà e lo zio Ferruccio erano stati invitati a giocare a carte per stare un po’ insieme.
Papà (Ugo NDR) mi aveva accompagnato a casa ed era tornato all’AIA.
Dove, con lo zio, venne arrestato dai tedeschi. Il giorno dopo io e la mamma ci rifugiammo in una casa di riposo a Carate (la clinica, poi Zucchi ndr) dove una suora ci nascose”.
“I Passaquindici – ha continuato Bartesaghi – erano proprietari dello Scatolifio Ambrosiano, che da Sesto San Giovanni si era trasferito a Usmate in Brianza. Avevano accolto i Milla nella vicina casa Gnecchi.
L’AIA era una dependance che serviva da essiccatoio per le granaglie. Verso la fine del 1943, un norma fascista, seguita a quella razzista del 1938, ordinò che tutti gli ebrei fossero arrestati e inviati ai campi di sterminio. Come accadde ai Milla. Le zie, Amelia Laura e Lina, si rifugiarono a Milano. A tradirle fu il desiderio di sapere cosa fosse accaduto ai loro fratelli. Anche loro vennero arrestate e incarcerate a San Vittore. Dopo la guerra – ha spiegato ancora Bartesaghi – Serena Milla aveva scritto ad Enzo Levi, torinese.
La risposta le era arrivata il 16 agosto 1945. “Ho conosciuto la sua famiglia a San Vittore. Anch’io ero su quel primo treno partito dal binario 21 – si leggeva nella lettera – dei suoi familiari, solo Ferruccio stava male, per un’infezione alla gamba. Lo avevano portato in barella in treno. Io sono uno dei pochi sopravvissuti (sei su un centinaio” preciserà Bartesaghi)”.
Due ragazze hanno poi letto pezzi della storia dei Milla e “Se questo è un uomo”, la poesia che Primo Levi aveva scritto dopo il ritorno da Auschwitz. “Primo Levi ci ha raccontato l’importanza della conoscenza e delle memoria – ha sottolineato il sindaco Alessandro Origo – ai Milla, Verderio ha dedicato, nel 1993, una lapide (sul vicino muro dell’ex centro sportivo) e nel 2015 una via. Nel giorno dedicato alla memoria, queste pietre d’inciampo ci ricorderanno per sempre cosa è accaduto. Ci serviranno per non dimenticare che cosa furono le conseguenze delle leggi razziali”.
Nel silenzio, la signora Serena ha poi scoperto le pietre. Accanto a lei, il marito, Giovanni Ravaglia, la figlia Antonella col marito Federico. Prima di lasciare Verderio, Serena Milla ha voluto posare sulle pietre in ottone, col nome di suo padre e degli zii uccisi ad Auschwitz, piccole rose rosse e gialle, il colore dell’amore e della stella che, per ordine dei nazisti, gli ebrei dovevano cucire sugli abiti. Accanto, le rose rosse della Brianza che non dimentica.
Sergio Perego
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